DIRITTO PRIVATO, COMMERCIALE E AMMINISTRATIVO
Se il testatore è stato condizionato, si può impugnare il testamento?
Non è sempre possibile impugnare un testamento, perché non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, ma occorre la prova di avere posto in essere un vero e proprio inganno su di esso.
Spesso sorgono controversie dopo la scomparsa del testatore, magari anziano e malato, ritenuto in condizioni tali da essere stato condizionato nel redigere il proprio testamento. Ma non è sempre possibile impugnare le disposizioni
testamentarie in simili casi. Il fatto pratico che segue è importante, perché consente di apprendere i principi
fondamentali in materia.
Con atto di citazione due soggetti convenivano in giudizio davanti al Tribunale il fratello, la madre e lo zio paterno, per fare dichiarare la nullità, o l'inefficacia, o per fare annullare il testamento olografo del padre. Il Tribunale respingeva le richieste e, proposta impugnazione, la Corte d'Appello confermava la sentenza di primo grado.
È intervenuta al riguardo anche la Cassazione civile sez. II, con sentenza 11.10.2024, n. 26519, che ha
affermato che la Corte d'Appello ha ritenuto le prove inidonee a provare che lo zio paterno avesse impiegato mezzi fraudolenti per ingannare il testatore e che avesse effettivamente influito sulla volontà testamentaria del medesimo determinandolo a disporre dell'usufrutto sui suoi beni in favore del predetto, ben potendosi spiegare tale disposizione di favore con la riconoscenza del de cuius verso il fratello, unico parente che gli era stato vicino nel periodo della malattia e del ricovero, e non essendo sufficienti a dimostrare la manipolazione della volontà del testatore pur nelle scadute condizioni di salute e psichiche dello stesso, le circostanze che lo stesso zio paterno verosimilmente gli avesse procurato il foglio protocollato usato per scrivere le ultime volontà e che si fosse premurato di fare attestare da un conoscente, recatosi a trovare il de cuius ricoverato, l'autenticità della sottoscrizione dello stesso sul testamento impugnato, né il fatto che aveva avvertito con ritardo l'ex moglie e i figli del de cuius, coi quali non aveva rapporti da 30 anni, delle gravissime condizioni di salute del de cuius.
La Suprema Corte ha, pertanto, ritenuto corretta la sentenza della Corte d'Appello, confermando il principio secondo il quale, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni e orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.
È opportuno anche rammentare che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, mentre nel caso di specie tutti i capitoli di prova testimoniale riproposti dal ricorrente, e ritenuti dalla Corte d'Appello inidonei a provare la captazione della volontà del de cuius da parte dello zio paterno, non avrebbero consentito di identificare e ricostruire attività specifiche di condizionamento della volontà del testatore a opera del fratello, difettando quindi della necessaria decisività.