DIRITTO PRIVATO, COMMERCIALE E AMMINISTRATIVO
Dicatio ad patriam? Attenti, la strada privata diventa d'uso pubblico
Quante persone non sono riuscite a fare rimuovere le linee telefoniche da un loro terreno? La realizzazione di infrastrutture primarie e secondarie sulla propria strada privata assoggetta la strada all'uso pubblico. Lo dice la Cassazione.
Dicatio ad patriam sembrano termini di antica epoca e privi di significato, ma, invero, nascondono una modalità dicostituzione di una servitù di uso pubblico su un terreno privato. Può capitare che, senza comprendere le conseguenze, si accetta di realizzare infrastrutture primarie e secondarie destinate, quindi, alla collettività; poi d'un tratto si intende chiedere la rimozione, ma inutilmente. Analizziamo ora una recentissima sentenza della Cassazione, prendendo spunto dal fatto in causa.
Due soggetti agivano nei confronti di un'azienda di telecomunicazioni per il risarcimento dei danni e per la rimozione di una condotta contenente cavi telefonici, che passava al di sotto di una strada privata. Il Tribunale rigettava la domanda, reputando "trattarsi di zona volontariamente destinata dai proprietari ad uso pubblico".
La Corte d'Appello rigettava il gravame proposto dagli attori. Proposto ricorso in cassazione, i proprietari incentrano il loro sforzo argomentativo di contrasto alla decisione, fondandolo sul dato formale dell'appartenenza della strada alla proprietà privata degli stessi. Circostanza, quest'ultima, in alcun modo messa in discussione dalla Corte d'Appello. Si è, pertanto, pronunciata la Cassazione civile sez. I, con sentenza del 25.09.2024, n. 25638, la quale ha rigettato il ricorso premettendo che costituisce principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui la dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, postula che il proprietario, con un comportamento anche non intenzionalmente diretto a dare vita al predetto diritto, metta volontariamente il proprio bene a disposizione della collettività, con carattere di continuità e non di mera precarietà e tolleranza, assoggettandolo al relativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune dei membri della collettività, e ciò indipendentemente non solo dai motivi per cui tale comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima, ma anche dal decorso di un congruo periodo di tempo o dall'esistenza di un
atto negoziale o un provvedimento ablativo.
Si è anche ritenuto che il comportamento del proprietario di un fondo, il quale, nel lottizzarlo, metta volontariamente e con carattere di continuità una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola al relativo uso pedonale e carrabile, rende applicabile l'istituto della cd. "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù.
Ne deriva che la successiva esecuzione, da parte del Comune, di lavori di miglioria su detta striscia e, segnatamente, la realizzazione di un marciapiede, non dà luogo ad una cd. occupazione usurpativa, difettandone i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica e della sua radicale manipolazione in guisa da farlo divenire strutturalmente qualcosa di diverso rispetto a prima e, mancando, altresì, a monte, un provvedimento amministrativo che riveli l'intendimento della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, includendola nel relativo elenco. In conclusione, dopo l'asservimento ad uso pubblico, la strada privata può essere anche oggetto di
ulteriori lavori di miglioria per l'uso collettivo.