ENTI LOCALI
Va pagato il lavoro per un ente pubblico anche senza espresso incarico
Che sia un Comune o una Regione o altro Ente, il lavoro svolto va pagato anche non vi è stato un espresso incarico o affidamento. L'Ente può solo provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole (c.d."arricchimento imposto").
Se si è svolto un lavoro o realizzata un'opera e l'Ente pubblico non ha espletato le procedure necessarie per
l'affidamento dell'incarico, il pagamento è dovuto ugualmente. La casistica è ricca di situazioni del genere e la sentenza in esame è importante, perché ribadisce il cambiamento più recente dell'indirizzo della Corte di Cassazione in tema di arricchimento senza causa. In linea generale, è l'art. 2041 c.c. che prevede l'ipotesi di ingiustificato arricchimento o arricchimento senza causa, disponendo che "Chi si è arricchito senza una giusta causa a danno di un'altra persona, è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale".
Si suggerisce un caso giudiziario per un'attenta riflessione. Due soggetti ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello, che, nel respingere il gravame esperito dagli stessi, ne ha rigettato la domanda, proposta nei confronti della Regione e dell'Ufficio del Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della Regione, di pagamento del compenso per la prestazione professionale resa dagli stessi. La Suprema Corte di Cassazione civile, sez. III, con sentenza 27.05.2024, n. 14735, ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rimettendo la decisione alla medesima Corte d'Appello in diversa composizione. Il principio affermato nella sentenza in commento è stato ribadito, ancora più recentemente, dall'altra sentenza della Suprema Corte di Cassazione civile, sez. III,
28.10.2024, n. 27753.
Infatti, a fronte di un pregresso e prevalente orientamento che condizionava l'accoglimento dell'azione di ingiustificato arricchimento al riconoscimento dell'utilità da parte della Pubblica Amministrazione e cioè al riscontro di una valutazione soggettiva in capo all'ipotetico arricchito, le Sezioni Unite (Cass. Sez. Unite, sent. 26.05.2015, n. 10798) hanno posto l'accento sulla connotazione invece strettamente oggettiva dell'arricchimento che il depauperato deve provare, senza che l'Amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso.
Provato, dunque, da chi agisce a norma dell'art. 2041 c.c. del proprio depauperamento (e con esso il contestuale arricchimento dell'amministrazione), l'accoglimento dell'iniziativa dallo stesso assunta incontra il solo limite del divieto di arricchimento imposto, affinché il diritto fondamentale di azione del depauperato possa adeguatamente coniugarsi con l'esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell'attività amministrativa, affidando alla stessa Pubblica Amministrazione l'onere di eccepire e provare il rifiuto dell'arricchimento o l'impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza. In una simile prospettiva, pertanto, il tema rilevante non è affatto se vi sia stato (e se provenisse da un soggetto a ciò legittimato) il riconoscimento dell'utilità da parte dell'Amministrazione, bensì se essa sia riuscita a provare il "rifiuto" dell'arricchimento, o la sua impossibilità.
Per concludere, in caso di esercizio dell'azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione, chi agisce per ottenere il compenso per la propria attività è tenuto a provare unicamente il proprio depauperamento e, con esso, il contestuale arricchimento dell'Amministrazione, avendo quest'ultima l'onere di eccepire e provare il rifiuto dell'arricchimento o l'impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza.